Cerchiamo di capire meglio cosa è la Sostenibilità nel turismo, quali sono gli indici di riferimento e come metterla in pratica.
Abbiamo rivolto qualche domanda ad Antonio Pezzano, tra gli speaker dell’AperiTurismo dedicato al tema della sostenibilità che ci ha raccontato come vengono recepite le pratiche sostenibili lato impresa e lato destinazione turistica, chi detta le regole, chi controlla e cosa, in sostanza, potrebbe fare davvero la differenza.
Ciao Antonio, presentati pure, chi sei e cosa fai?
Assisto enti pubblici e organizzazioni turistiche a disegnare e attuare politiche e progetti che creino valore economico. Il mio ruolo è fornire dati e fatti concreti a chi prende le decisioni di investimento (non solo di marketing turistico). E, quando necessario, aiuto chi prende certe decisioni ad adottarle.
Da quanti anni segui il tema della sostenibilità nel turismo e perché?
Da quando ho cominciato a lavorare cioè dal Giugno 1999, quindi ho festeggiato i 20 anni sul tema ? (Auguri!).
Faccio parte di un’Associazione (ACTA) per la quale dal 1999 al 2010 ho lavorato a progetti pioneristici sul tema. Acta ha curato il primo manuale per la gestione degli hotel in modo compatibile con l’ambiente (1997). Ha supportato i primi parchi italiani nell’adottare la Carta Europea del Turismo Sostenibile (dal 2000 al 2006). Dal 2000 ha collaborato con la Commissione Europea DG Ambiente e il Ministero dell’Ambiente Italiano, fornendo assistenza tecnica nel processo europeo di preparazione dei criteri e di consultazione con le parti – imprese, lobby, istituzioni dei vari paesi membri, giungendo all’adozione di un marchio di qualità ambientale valido per tutta Europa (l’Ecolabel Europeo) nel 2001 (ricettività e campeggi).
Inoltre, faccio parte della prima rete (per data di nascita) di esperti europei nel turismo sostenibile (Ecotrans) . Si tratta di una rete che collabora con la Commissione Europea, con il Parlamento Europeo, Governi regionali nazionali e nazionali e NGOs nello studio e nella sperimentazione di pratiche di turismo sostenibile.
Infine, sono stato per conto della Commissione Europea coordinatore della rete di destinazioni turistiche europee di eccellenza EDEN (2010-2014) curando per conto della Commissione la fase di start-up di quella che oggi è la più grande associazione di destinazioni turistiche che scambiano pratiche di turismo sostenibile.
La sostenibilità mi ha sempre interessato perché nella sua accezione originaria implica il saper godere del presente con un occhio al futuro. Ho formato la mia coscienza critica durante gli studi universitari in un momento nel quale (inizio anni ’90) si è capito che non solo nell’ambiente, ma anche in campo economico e sociale il reddito e la ricchezza degli anni precedenti erano costruite a scapito delle future generazioni (pensioni, debito pubblico).
Cosa è cambiato da 10 anni a questa parte?
Per me tanto, perché oggi abbiamo mezzi conoscitivi e tecnologici per mettere in evidenza molte contraddizioni e pratiche coerenti con i principi della sostenibilità.
Ultimamente se ne parla molto, secondo te perché?
Perché problemi che prima erano evidenti solo negli studi accademici oggi sono toccabili con mano. Pensiamo agli effetti del cambiamento climatico o ai giorni di sovraffollamento delle destinazioni turistiche.
Cosa si sta facendo di concreto per rendere il turismo più sostenibile? Tutti gli indicatori dicono che il turismo internazionale è in crescita, le stime al 2030 del UNWTO ci parlano di 1,8 mld di arrivi stimati, tutte le destinazioni vogliono avere più turismo, anche le più remote della terra, i privati vogliono guadagnarci sempre di più, si continua ad investire nel Turismo… Questa sostenibilità sembra più un desiderio che una cosa fattibile, come si realizza in questa specie di treno in corsa?
Io tendo a distinguere la narrazione dalla realtà. La narrazione è fatta di ricerche dove si dice che gli italiani (o qualsiasi altra popolazione di un paese ricco) sono desiderosi di pagare in più una camera d’hotel se sostenibile, dove c’è voglia di vacanze verdi ed esperienziali, ecc. La realtà è fatta di consumatori e imprese che decidono e si comportano secondo modelli consolidati che conosciamo da tempo.
Le imprese fanno (giustamente) tutto quello che conviene ai loro investitori. Alcune hanno investitori che per varie ragioni non guardano solo al trimestre, ma al medio-lungo termine. Per questo motivo, molte grandi catene alberghiere hanno adottato nel tempo pratiche di risparmio energetico di avanguardia i cui effetti prima che sui bilanci di responsabilità sociale ci sono su quelli riservati agli investitori, dove il risparmio è evidente.
I consumatori – per fare bella figura e mettersi d’accordo con la loro coscienza – rispondono nelle interviste che avranno certi comportamenti, ma poi decidono in base alle circostanze (vincolo di bilancio, non mi sbatto…, ecc.)
Detto questo, prima di andare avanti con le altre domande, è utile ricordare che con sostenibilità si intendono tante cose spesso, per definizione, incompatibili tra di loro. Su questo punto, mi piace citare Justin Francis, CEO di Responsible Travel.
When we started Responsible Travel in 2001 and started talking about responsible tourism, the prevalent terms were ‘ecotourism’ and ‘green tourism’. Our idea for responsible tourism was that it should encompass all types of tourism (not just nature based) and that it should deliver ‘better places to live in and to visit’ – with the emphasis firstly on creating better places for local people, and secondly for tourists. ?
Justin Francis, CEO Responsible Travel
We also committed to being transparent and evidence-based about how we are seeking to increase the benefits of tourism to local people and places, in an effort to eliminate the greenwashing that had undermined ecotourism. On our website you can read the responsible tourism policies of all our holiday suppliers, and we publish additional and specific information on every holiday page. ?
Justin Francis, CEO Responsible Travel
?
Finally, one expression we never use is ‘sustainable tourism’. Much as we try to improve the benefits of tourism to local people and conservation, many of our holidays require an international flight with its associated CO2 emissions. We wish there was a cleaner alternative to aviation fuel, but there isn’t and this puts tourism in an almost uniquely difficult position. Travelling this way isn’t sustainable, but 10 percent of the world’s population (including many in developing countries where tourism is growing fast) depend on the industry. ?
?
We are left encouraging you to travel responsibly when you do decide (or need) to travel by air, but not encouraging you to think it is sustainable. At one time we supported carbon offsets as a solution to this problem, but later changed our thinking and our policy on this. ?
Per quanto mi riguarda – operando nel campo delle politiche pubbliche e quindi negli investimenti nelle destinazioni turistiche – intendo sostenibilità nel senso di durevole. Questo implica valutare volta per volta di cosa si sta parlando e la prospettiva dalla quale si guarda il problema. Faccio alcuni esempi.
Fino a che punto il turismo è durevole in destinazioni turistiche dove gli imprenditori guidati dalla passione non sono capaci di far di conto e capire se la loro attività economica remunera il loro capitale investito? In Nuova Zelanda quando hanno studiato il fenomeno hanno realizzato che la maggior parte delle piccole imprese non aveva la capacità di investire. Ecco una delle tante contraddizioni. Quando in nome della sostenibilità si incensa il piccolo è bello, per onestà intellettuale si dovrebbe anche ricordare che nelle piccole imprese del nostro settore – proprio perché molte attività sono finanziariamente insostenibili – si annidano tanti evasori e realtà che non riescono ad investire neanche in manutenzione (figurarsi in innovazione o formazione del personale).
Mentre i Governi (di qualsiasi colore) esaltano il contributo di fari, cammini, ed enogastronomia al turismo sostenibile, dobbiamo ricordare che la Corte di giustizia dell’Ue ha condannato l’Italia a una multa da 25 milioni di euro per non aver saputo raccogliere e gestire le acque di scarico da Nord a Sud del Paese, che doveva essere in linea con gli obblighi comunitari dall’1 gennaio 2001. Nel 2018 restavano ancora 74 aree senza allacci fognari o sistemi di raccolta e di trattamento dei rifiuti liquidi urbani, e sembra che prima del 2023 non sarà possibile sanare la situazione. In Italia le fogne vanno al mare che è – nonostante i cambiamenti epocali di cui tutti parlano – la risorsa sulla quale si basano almeno il 50% delle presenze turistiche europee e il 40% del fatturato.
Se si vuole veramente promuovere un turismo sostenibile bisogna almeno considerare i seguenti aspetti:
- Affrontare tema per tema senza la pretesa di avere un approccio capace di risolvere tutti i problemi;
- Essere consapevoli che i temi più importanti e decisivi hanno bisogno di strumenti di contabilità e conoscenza diversi da quelli ora in uso (leggi qui);
- Il Ministero del turismo (che sia all’agricoltura o alla cultura) come gli assessorati al turismo non hanno competenze (legali), risorse e capitale politico per affrontare le questioni chiave;
- Per affrontare le questioni chiave, soprattutto in Italia, c’è bisogno di una leadership politica capace di fare nel campo delle politiche di gestione dei trasporti, di gestione del territorio e dell’ambiente molte cose uguali e contrarie a quelle fatte finora.
Indicatori,metriche e indici della sostenibilità nel turismo… chi li stabilisce e quanto sono conosciuti?
Anche in questo caso bisogna distinguere la narrazione dalla realtà. Una cosa è la ricerca accademica votata a trovare metodologie e dati, altro è il loro utilizzo. Ho fatto parte del gruppo di lavoro che per conto della Commissione Europea ha varato ETIS, il sistema di indicatori di sostenibilità nel turismo per le destinazioni turistiche.
(Leggi l‘approfondimento sugli ETIS in questo precedente blogpost)
Ho fatto presente (inascoltato) che qualsiasi sistema di questo genere non può essere one size fits all. In primo luogo è necessario declinare i problemi; qualità delle acque, uso di inquinanti nell’aria, cambiamento climatico, sostenibilità finanziaria, sovraffollamento (giusto per citarne alcuni) sono problemi che influenzano lo sviluppo durevole di una destinazione turistica, ma hanno interlocutori, interessi e soluzioni diverse tra di loro. E non tutte le destinazioni hanno gli stessi problemi. Secondo, fino a che punto è utile che una DMO (ente che dovrebbe adottare il sistema di indici della sostenibilità nel turismo) debba prendersi carico di analizzare dati che non influiscono sul suo core business? Terzo, fino a che punto le DMO – per natura squattrinate – possono gestire sistemi di raccolta dati e reportistica complessi anche per un ufficio statistico?
La mia proposta è di prendere il singolo problema e di concordare con le istituzioni pubbliche e private che hanno gli strumenti di quella soluzione indicatori e modalità di misurazione per monitorare il problema e la sua evoluzione.
Come funziona il mondo delle certificazioni? Chi le eroga e quale il modello di business di queste aziende?
I miei colleghi di Ecotrans da anni gestiscono un database su questo tema e nel 2016 hanno pubblicato una piccola guida (leggi in pdf). Secondo il loro database ci sono più di 152 label sul turismo sostenibile a livello globale tanto che la guida si chiama come orientarsi nella giungla dei label.
Ci sono due tipi di label. Una prima categoria certifica la performance ambientale (ad esempio di un Hotel); l’Ecolabel europeo fa parte di questa tipologia di label. Un’altra categoria, come ad esempio EMAS, si occupa di certificare l’esistenza di processi e modelli gestionali compatibili con l’ambiente.
Per mettere ordine alla giungla è nato un sistema di certificazione globale – GSTC – che ha il compito di verificare che un determinato label abbia determinati standard e sistemi di gestione interna che salvaguardino la sua trasparenza e indipendenza. Purtroppo, ci sono ancora pochi label che sono “certificati” dal GSTC .
Personalmente credo che i problemi siano altri. Primo, finché si continua con l’approccio one size fits all si riduce la possibilità per molti di certificare. E’ necessario che una destinazione turistica o una impresa che siano bravi su alcuni aspetti (e non necessariamente su altri) possano certificarlo soprattutto quando quegli aspetti sono rilevanti per l’ambiente e il contesto in cui vivono. Se gestisco un Hotel in Sicilia in zone dove manca l’acqua e ho messo in pratica soluzioni che risparmiano l’oro blu, do un contributo maggiore di chi formalmente ha spuntato tutta la lista di criteri che valutano i processi su 100 temi, ma non la performance (che è la sostanza).
Secondo, si tratta di sistemi la cui utilità è limitata alle imprese che per motivi di business aziendale o il credo del management ha certi tipi di obiettivi.
Destinazioni e imprese, quanto è appealing per loro avere queste certificazioni?
Le pochissime indagini serie sul tema hanno messo in evidenza che la domanda di servizi non usa minimamente questi strumenti nei propri processi decisionali. C’è chi parla dell’1%, chi del 5%.
Quando sono conosciute dal viaggiatore, che impatto hanno nel marketing e promozione dei prodotti turistici sostenibili, secondo te?
Hanno un impatto davvero limitato. Per spiegare questa mia valutazione devo fare un passo indietro a quanto ho già evidenziato nella prima parte di questa intervista. Spero sia chiaro a tutti che il nostro comportamento non sempre segue il nostro atteggiamento.
La Germania è un paese molto attento all’ambiente e ai consumi etici. Il mercato alimentare fair trade vale circa 2 miliardi di euro (Statista 2019). Il mercato alimentare bio-organico vale più di 10 miliardi di euro. I principali tour operator tedeschi adottano criteri di scelta di destinazioni e strutture ricettive che tengono conto di alcuni aspetti della sostenibilità. In estrema sintesi, la Germania è alla frontiera.
Secondo l’indagine Reiseanalyse (dal 1970 basata su più di 8.000 interviste), che da alcuni anni introduce nuove domande per indagare la sostenibilità dal punto di vista del mercato, il numero di turisti tedeschi che ha un atteggiamento positivo verso la sostenibilità è in crescita e coerente con lo stesso dato in altre categorie merceologiche (le percentuali variano di anno in anno, ora siamo sul 60%). Tuttavia, solo il 6% dei viaggi è stato organizzato considerando criteri di sostenibilità (cioè 9 milioni di viaggi su 154 milioni). I dati si riferiscono al 2018 e devono ancora essere pubblicati.
Quali le buone pratiche di sostenibilità che oggi sono lo standard?
Per rispondere alla domanda ed essere coerente con quanto ho detto finora dovrei prima specificare i temi. Per dare qualche esempio, Accor è all’avanguardia su tanti aspetti che riguardano il risparmio energetico, la gestione degli acquisti locali, la gestione del personale. Le pratiche e soprattutto il sistema di reporting sono un esempio per tutti. Nella prima pagina del loro sistema CSR (Corporate Social Responsibility) scrivono che
1. La CSR ha un effetto positivo sulla soddisfazione degli ospiti.
Ciò potrebbe essere dovuto alla migliore qualità del servizio che deriva dall’influenza positiva del sistema di gestione sull’organizzazione dell’hotel e dal fatto che i dipendenti sono più motivati ??e coinvolti;
2. La CSR ha un effetto positivo sulla redditività dell’hotel.
La percentuale di hotel Charter 21 (a livello Bronzo o superiore) con un EBIT (ante oneri finanziari ) superiore alla media aumenta con il livello di Charter 21 raggiunto. In altre parole, maggiore è la performance di sostenibilità, maggiore è la redditività dell’hotel. Gli hotel redditizi possono investire in iniziative sostenibili, ma questi investimenti generano rimborsi positivi riducendo i costi (energia, rifiuti) e aumentando i ricavi (maggiore reputazione e soddisfazione degli ospiti).
3. La CSR consente di ottenere un turnover tra i clienti da Accor chiave B a B.
Delle etichette esistenti, la ISO 14001 emerge come un fattore di differenziazione nelle offerte pubbliche per i clienti B2B, oltre il 70% dei quali afferma di avere aspettative CSR. La prestazione CSR di un hotel è un criterio importante per quasi il 90% dei clienti che scelgono un hotel.
Se parliamo di destinazioni, ritengo che la rete di Alpine Pearls abbiamo tanti esempi interessanti di come si riesce a far venire gli ospiti senza auto.
Chi dovrebbe dettare gli obiettivi della sostenibilità nel turismo di una destinazione e chi, ancora più importante, dovrebbe facilitare, supervisionare il raggiungimento delle stesse?
Mi ripeto. Dipende. Se non vogliamo restare sul piano della narrazione il punto non è capire di cosa stiamo parlando. Cosa intendiamo esattamente con gli indici della sostenibilità nel turismo? Regole sul mercato del lavoro? Sostenibilità finanziaria delle imprese? Gestione dei flussi turistici? Per ognuno dei problemi ci sono soggetti interessati e soggetti che hanno la possibilità di fornire le soluzioni. Ai primi tocca tenere acceso il faro sui temi, ai secondi provare a risolverli.
Hai un buon caso di destinazione virtuosa che sta diventando leader nella sostenibilità e può iniziare ad insegnare agli altri?
Again. Dipende dal tema. Non mi affeziono però alle centinaia di casi di cui si fa un gran parlare ma che non offrono fatti e dati a supporto di tanta fanfara. E ce ne sono tanti. Come non mi affeziono ai casi di piccole destinazioni turistiche. Piccolo in se vuol dire meno problemi.
A che punto è, secondo te, il viaggiatore nelle scelte etiche di viaggio? C’è già una nicchia così raffinata?
La coscienza etica sta crescendo e lo testimonia il fatto che ci sono piccole realtà come responsibletravel.com che ne fanno un business. Tuttavia, questa non basta. E’ anche necessario che ci sia più informazione e soprattutto un livello di benessere e ricchezza (da parte della domanda) che rendano possibili certe scelte.
Hai qualche consiglio per un’impresa che vuole essere più sostenibile ma non sa bene da dove iniziare?
Sì. Rafforzare le competenze finanziarie e imparate a gestire le vostre imprese in modo finanziariamente sostenibile. Solo così potete valutare in modo corretto l’opportunità di innovare il vostro business anche per essere competitivo in campo ambientale o sociale.
Grazie Antonio!